31.05.2014

Si tratta di un itinerario tutto montano che mi porterà a pedalare sulle alture favolose dell'Italia Centrale. Monti della Laga, Gran Sasso d'Italia, Parco Naturale Sirente Velino, fino alla Majella. Farò visita a paesi disabitati come Faraone Antico, Laturo, Valle Pezzata, Sperone, Buonanotte. 

Quando l'uomo lascia i luoghi alberi e fiori nascondono i ruderi. L'ambiente riassorbe la presenza umana a forza di fioriture, primavera dopo primavera. Capita così sull'Appennino, l'Italia più introversa, dove pure nei centri abitati aleggia un sospetto di abbandono. Dove ci sono uomini che ancora vivono e si muovono al passo delle stagioni e sembrano conservare una distanza salvifica dalla modernità. Dove s'incontrano paesi in bilico su montagne e dove i boschi di faggi sono ampi e frequentati da orsi, cervi, lupi, vecchi pastori e nuovi eremiti.

Visto così il percorso è una linea capricciosa che avanza nell'entroterra, insiste verso sud e solo alla fine tende all'Adriatico.  

31.05.2014

Buona parte dell'Appennino presenta cime tonde e valli strette. Caratteristiche che un tempo invogliavano ad abitarlo, ad avviare piccole economie e reti commerciali fin quasi alle maggiori altitudini, dove si svolgeva il lavoro estivo dei pastori. 

In generale le vette hanno quote prudenti. Osservando le montagne da lontano è facile seguire il bordo più in alto dell'orizzonte, senza mai scendere. Qualche volta vince però la  curiosità, lo sguardo s'infila in una gola e chissà cosa se ne va cercando: un bosco di faggi, un picco di roccia, una cascata. Forse a metà montagna si può intravedere un lupo o un luogo abbandonato. 

L'analisi delle mappe rappresenta una fase affascinante, anche volendo pianificare il minimo possibile. È un modo per far conoscenza con le località ed avere riferimenti già prima di partire. La  cosa interessante è che le mappe non escludono il rischio di perdersi. Di fatto forniscono la totalità degli itinerari, eppure a chi le utilizza resta tutto il compito di scegliere e di orientarsi. Ci si accorge della quantità di informazioni che riportano: la rete delle maggiori strade, i tratteggi delle mulattiere, le curve di livello, le casette dal tetto rosso che indicano i rifugi e somigliano a quelle delle favole. E i nomi di quanti luoghi: Settecerri, Cresta delle Malecoste, Acquare della Formica. Mi costringo ad impararli. Non si può partire senza sapere almeno i nomi delle zone che si considera d'incontrare. 

08.06.2014

Sono partito che era già mezzogiorno, con un caldo spezzagambe. 

Nella foto mi lascio alla spalle Faraone Antico che a quanto pare fu interessato da un sisma nel 1950. Interventi politici portarono contributi per la costruzione del nuovo paese, Faraone Nuovo, e tanto sancì l'inizio dell'abbandono. Ancora oggi resiste l'arco d'ingresso al vecchio borgo. 

La questione è che oltre l'arco ci si trova davanti il precipizio degli anni. Oggi chi viene non resta, se ne va nel giro di un tempo minimo. Perciò il primo pensiero è che il numero degli ingressi equivale alle uscite.

L'arco di Faraone Antico è l'immagine matematica dell'abbandono, un'equivalenza tra arrivi e partenze che sommate danno zero. 

08.06.2016

La signora Irene viveva a Laturo. Ora non torna da un pezzo. Bassina, curva sotto tutti i suoi anni, oltre novanta. Dice che la via è scomoda e in macchina non ci si può andare. Restiamo a parlare qualche minuto e chiedo a lei informazioni sulla direzione da prendere. Mi indica un grosso albero al centro dell'orizzonte e dice che dopo devo scendere a sinistra, che Laturo è alla fine della discesa. 

Penso che è giusto muoversi con la natura. È giusto per qua e la signora Irene ha una voce che si fa sentire. Mentre me ne vado rincara premurosa: 

"Punta l'albero. Non po' sbaia`!"

09.06.2016

Seguendo le indicazioni di Irene arrivo a Laturo nel tardo pomeriggio. Non è stato difficile, peggio è stato risalire lungo la ripidissima sterrata con la bici carica. Intorno c'è una quiete di cime placide e verdi. Qui è certo che sul fondo di ogni valle scorre un torrente. Un paradiso per uomini sotto un cielo che più azzurro non si può.

10.06.2014

Mi sono svegliato presto con l'idea di andare col fresco. Così mi sono avviato lungo la sterrata per Leofara e ho pedalato comodo nel bosco di faggi. Il panorama era splendido con la Laga coperta dall'umidità del primo mattino. Sono arrivato a un bivio e svoltato in discesa. Senza controllare la mappa son andato giù tranquillo, immaginando di incontrare presto Piano Maggiore. Dopo chilometri di nulla mi sono fermato, ho incontrato un ragazzo con una moto da Enduro ed ho scoperto di scendere in direzione errata. Il contachilometri segnava oltre i quindici, da rifare al contrario.

Sono arrivato a Piano Maggiore a fine mattinata, l'erba era alta ed è stato difficile raggiungere la chiesa. Subito ho puntato su Valle Piola lungo la mulattiera nel bosco. Mi sono fermato a pranzare e sono ripartito dopo un'ora. Sono uscito dal bosco alle cinque del pomeriggio, senza più acqua. Ho deciso allora di non scendere a Valle Piola, ho temuto che laggiù non ci fossero fontane. Non ero neppure certo che oltre Valle Piola la mulattiera seguitasse. Ho cercato un ruscello. 

Quante fontane sul nostro Appennino, molte secche, passate. Comincia l'abbandono dove muoiono le fontane. Eppure lungo le antiche mulattiere, ficcate dietro spigoli di roccia che non l'avresti detto, ne trovi alcune che resistono come capolavori e le vedi che cacciano acqua da chissà quanto a chissà quanto ancora. E te ne stai lì che fa bene solo guardarle.

10.06.2014

Una donna anziana è seduta al fresco di un faggio e tiene le mani posate sul suo bastone. Mi racconta che suo fratello faceva il corridore. Dice corridore, non ciclista, e credo sia giusto. Perché ci sono parole che si portano addosso il peso delle epoche. E ci sono parole per sempre aggrappate al nostro dopoguerra, alle strade bianche e ai sogni di America sotto il letto. È come la differenza che corre tra autobus e corriera. La corriera è la corriera. Non c'è autobus che tenga. 

Il secondo incontro è una simpatica cagnona assetata come me. Ci siamo fatti un po' di feste.

11.06.2014

Ieri mattina sono sceso a Valle Piola. Mi aspettavo ruderi e ce ne sono. Ma c'era pure un uomo di spalle che innaffiava file di melanzane. Si è voltato e quando mi ha visto abbiamo riso sinceramente come due che s'incontrano in un posto dove non dovrebbe esserci nessuno. Il suo nome è Vincent ed è francese. Ora vive a Valle Piola. Mi ha invitato a fare due passi nell'orto dove coltiva pomodori, patate e un po' di tutto. Poi ci siamo spostati tra i vicoli del borgo. Mi ha indicato gli edifici:

"Qui c'era la scuola. Qui la chiesa".

Mi ha raccontato di lui, con modi mansueti e la lucidità di arrivare presto al sodo delle questioni. Il sogno di Vincent è che Valle Piola diventi un luogo dove le persone possono arrivare per un giorno o una settimana o tutto il tempo per curare l'orto e per lavorare insieme a qualche idea. 

Mi ha svelato che percorre a piedi i sentieri per non lasciare che l'erba li nasconda. Ci siamo trovati sull'opinione che la condizione di movimento ideale per l'uomo sia il camminare. 

Seduti alla fontana, da cui esce un'acqua abbondante e limpidissima, abbiamo parlato e parlato e ci siamo capiti benissimo anche se io non conosco il francese e lui poco l'italiano. 

È trascorsa velocemente qualche ora. Gli ho chiesto se potevo aiutarlo in qualcosa.

"Io resto qua. Parla di Valle Piola se vuoi".

"Certo Vincent che parlo di Valle Piola. Promesso".

12.06.2014

Dietro di me, in posa per la foto, c'è l'unica famiglia di Colle. Hanno appena finito un lavoro e sul tavolo ci sono bottiglie di birra vuote. Chiacchierano forte ma si zittiscono non appena mi vedono con la bici e le borse. Mi chiedono se sono a conoscenza che l'unica via per andarmene da lì è tornare indietro. Nessuna novità in questo. Molti dei paesi abbandonati di questa zona si trovano dopo discese o dentro valli. Laturo, Valle Pezzata, Tavolero, Colle. 

Sandro, un ragazzo attivo e intraprendente, mi mostra il resto del borgo, coperto ormai da una vegetazione possente. Mi spiega che sono eredità di più persone: due stanze per sedici nipoti. Nessuno di loro tornerà. E poi la strada è scomoda.

"C'è da cambiare una macchina ogni anno".

Ricorda quando i vicoli erano abitati e la frazione sembrava un'unica famiglia.

Gli chiedo se esiste davvero la mulattiera per Elce che riporta la mia mappa. Specifica che esiste ma me la sconsiglia con tutto quel carico. Lui la percorreva da bambino, ad Elce c'era l'unica gelateria. Impiegava quaranta minuti. 

"Tutti quelli che sono nati qui sono buoni camminatori e conoscono a memoria il bosco".

L'ultima notizia è il restauro della vecchia chiesa. Sono stati lui, suo padre e un cugino ad aggiustarla. Nessun altro. È venuta bene, mi pare.

13.06.2016

Ieri mattina sono partito da Altovia, paese abbandonato vicino Cortino. Abbandonato d'inverno, d'estate si popola di persone che tornano in vacanza. 

Così lassù resta la facciata di una chiesa in bilico, avanti a una linea di case sistemate e con tanto di antenne paraboliche.

Qualcuno mi aveva detto che ad Altovia avrei trovato Domenico, un vecchio pastore. Non c'era. Dopo giorni di viaggio non ho ancora incontrato nessun pastore. L'erba alta sui prati è la testimonianza dell'assenza dei greggi. Ogni sera devo calpestarla per bene prima di piazzare la tenda. Se questo non è abbandono.

 

14.06.2014

Abbiamo parlato e ho scordato di chiedere il nome. Mi racconta che fa il pastore da ragazzino, quando gli inverni erano lunghi, la neve scendeva in abbondanza e i bambini la osservavano muti dietro alle finestre. Mi parla di una sua nonna che faceva la pasta sul tavolo di abete e di uno zio emigrato in Argentina e di cui non si seppe più niente.

Gli chiedo dei lupi. Dice che la scorsa estate gli hanno preso otto agnelli. 

Sa fare il formaggio ma per venderlo dovrebbe avere certificati e scartoffie da riempire. La norme sull'igiene stanno uccidendo la pastorizia.

"E noi di prima? Non abbiamo vissuto lo stesso? Non siamo invecchiati mangiando il formaggio di quando non c'era ancora acqua nelle case e facevamo il bagno nel fine settimana?"

Vende il formaggio alla buona o lo scambia per servizi che riceve da amici. L'altro giorno ha regalato una forma al falegname che gli ha riparato la porta.

Guarda nella valle, dritto in un punto che lui soltanto può sapere. Si vedono nuvole corpose, me le indica come a dire che mi conviene cercare un riparo. Poi guarda la bici con le borse, ride. Forse crede che potrei usare meglio il mio tempo. 

Un uomo così, che ancora sa come abitare la montagna, che vive con le stagioni e riconosce l'odore del temporale quando cambia il vento.

Si allontana a passo leggero. Mi fa tornare in mente quella poesia famosa che parla dei pastori, che ad osservarli davvero certi uomini ti sembra che camminano già in rima.

14.06.2014

Ieri sera ero fermo in tenda a Rocca Calascio, fuori c'era una pioggia abbondante. Ho approfittato per fare il punto. Mi fa piacere ricavare questo momento dalla giornata, tanto per dare una regolarità minima al resto che succede sui pedali. Comunque decido pochi obiettivi di riferimento. Gli incontri per fortuna capitano a caso. È curioso come girando tra paesi abbandonati si incontrino storie, persone. E' un piacere stare ad ascoltare.

La bicicletta sembra un pretesto per incontrare. In fondo l'ho sempre pensato.

A Rocca Calascio trovo nebbia e clima da lupi. Scendo fino a Santo Stefano di Sessanio. Lì dovrei incontrare una sterrata per Paganica. 

16.06.2014

Lungo la sterrata per Paganica pedalo sotto la pioggia. Le nuvole sono basse e a stento posso vedere a una distanza maggiore di venti metri. Supero un gruppo di rocce e non mi accorgo di un gregge. Ci finisco in mezzo. Subito i cani mi saltano incontro, sei o sette, non so, pastori abruzzesi di stazza. Mi fermo all'istante, scendo facendo capitare la bici tra me e loro. Appoggiato alle rocce, sotto un ombrello giallo, il pastore assiste e arriva giusto in tempo il suo: "Eh!", potente e a tutta voce. I cani si puntano e tornano. Sento che lui mastica qualche bestemmia ma piove e non mi fermo, solo alzo la mano per gratitudine. Lui ricambia allo stesso modo.

Faccio buoni chilometri e incontro Cesidio, quasi a Rocca di Cambio. La pioggia si è fermata e pedalo in salita per cui mi viene naturale sostare un poco. Cesidio ha qualche anno più di me e parliamo con la disinvoltura e la comprensione che capita tra coetanei. 

Faceva il pompiere, ora fa il pastore a tempo pieno. Mi racconta che la transumanza oggi si fa con i camion ma costa. Lui non la fa. In Puglia va soltanto a comprare i montoni che sono di razza migliore e forti come cervi. Gli dico che ho visto un cervo ma si e ficcato presto nel bosco e non sono riuscito a fotografarlo.

"L'altro giorno un cervo ha attraversato il gregge, ha avuto subito i cani appresso, ma poi hanno rinunciato".

Gli racconto del mio passaggio nel gregge poche ore prima. 

"I cani sono gelosi, non bisogna mai tagliare tra le pecore".

Gli chiedo di fare una foto insieme. Lui chiama il fratello che risale dal prato un po' seccato. Gli stendo la fotocamera. Cesidio mi passa una mano attorno al collo. 

Una foto rapida, poi ci stringiamo la mano e la mia si perde nella sua grande. Seguo una strada che mi indica e sono in una radura vicino Terranera dove piazzo la tenda. Da qui, attraverso una sterrata nel bosco, raggiungerò le Pagliare di Tione. Se la pioggia lo vorrà potrà seguirmi fino a lì. 

16.06.2014

Stamattina pioveva. Era fangosa la mulattiera per le Pagliare di Tione. Colpisce presto la presenza di un grande pozzo costruito in un avvallamento. Due file di scalini scendono lungo le pareti all'interno.

Il pozzo è il reale protagonista, ha tutta la scena. Le case intorno seguono da lontano la sua circonferenza.

Prima di partire leggevo che alle Pagliare di Tione era praticata la transumanza verticale. Ogni cambio di stagione le greggi venivano spostate da valle a monte, o al contrario.

Le abitazioni sono di due piani. Al piano terra c'era la stalla, mentre al primo piano il fienile che era anche giaciglio del pastore.

Mi fermo poco lungo la via per Torre di Sperone. Faccio qualche breve incontro verso la Marsica ma tiro dritto che ne resta di strada.

Incontro chi ancora si preoccupa di fare provviste. Dev'essere un vizio antico. Qualcuno già sistema la legna, qualcuno si occupa dell'orto, prepara conserve. Discendiamo da uomini così,  da loro abbiamo ereditato i proverbi e il vino rosso. Uomini sapienti che hanno ricavato chicchi d'uva da colline di sassi. Hanno saputo riconoscere i cicli della terra seguendo le lune. Non sciamani, né saggi di chissà quale altrove. 

Si scambiavano prodotti: pomodori con patate, ciliege con ceci. Il valore si creava in casa, in privato, era riconosciuto, barattabile. 

18.06.2014

Stanotte c'è stato temporale e vento. Ora la pioggia si é fermata. Salirò a Sperone e studierò una via per Frattura Vecchia. Mentre penso che avrò da pedalare penso anche che ho quasi finito l'acqua e di fontane chissà. A Gioia dei Marsi un uomo che mi ha detto che a Sperone una volta c'era una fontana ora secca. Un'altra è giù nel vallone, lontana. Proverò a cercarla. L'uomo mi ha detto pure che a Sperone d'inverno fa neve. E ci sono orsi: 

"Statt'attento! Non puoi stare qua? È tanto bello qua a Gioia!"

Rido e capisce che non gli darò retta.

"Almeno non dormire a Sperone che se ti prende un mal di pancia non ti trova nessuno".

Non ho dormito a Sperone, non per il mal di pancia ma perché era tardi e non c'era più luce. Mi sono accampato nel bosco sotto il vecchio paese. Prima che diventasse notte completa ho fatto in tempo a vedere due scoiattoli nerissimi e un branco di cinghiali che pascolavano indifferenti. 

È mattina. Tutto è pronto mentre piano ricomincia a piovere.

 

Torre di Sperone, spesso i nomi sono la migliore descrizione dei luoghi. Vale per questo borgo. Di fatto si sviluppa lungo un costone fuori dal bosco e la fascia delle abitazioni cadenti sta sotto una torre. È vero pure che il vecchio paese nasconde altro. Nel mezzo c'è una fontana restaurata e funzionante, contrariamente a quanto sostenuto dall'uomo di ieri, incontrato a Gioia dei Marsi. Dietro la fontana c'è un ciliegio meraviglioso che ha frutti abbondanti e quasi rossi.

Va bene, da lontano è un luogo in abbandono definitivo. Da vicino è diverso e qui l'abbandono sembra uno spreco. A questo punto la presenza dell'uomo più è distante più pare possibile.

19.06.2014

Bisegna: ottanta abitanti. Sono arrivato sbagliando strada. Cerco l'imbocco di una sterrata che mi riporti verso Scanno. Sulla mappa ne vedo una. L'ufficio informazioni del parco è chiuso. Una ragazza dal balcone mi dice sbracciando: 

"Vai al bar che lì sanno tutto".

Le do retta. Dentro ci sono uomini seduti che conversano tra loro, mi osservano per qualche secondo e fanno finta di niente. Mi vien voglia di gelato, anche se c'è un tempo cane. Vado al congelatore, scelgo, poi mi avvicino al bancone e chiedo di caricare il telefono che sono giorni che il pannellino non vede il sole. Il barista, un uomo coi baffetti grigi e la barba in ordine mi indica una presa all'angolo in basso. Chiedo della mulattiera per Scanno e lui subito si consulta con uno seduto che sorseggia una Peroni. In meno di un minuto il mio itinerario diventa l'argomento e si crea il cerchio della conversazione. Qualcuno consiglia di salire in direzione di una curva, da lì parte la mulattiera ma è in disuso da tempo. Qualcuno mi invita a provare. Altri, prudenti, consigliano l'asfalto fino a Ortona dei Marsi. Ma si sa com'è in certi bar, si cercano alternative, se ne discute. Che quassù di tempo ce n'è.  E fuori piove. Io al solito farò di testa mia. 

Sono sporco e pedalo sotto la pioggia da giorni. Quelle persone mi mettono allegria. E questo è un bar vero. Sui tavoli ci sono le carte napoletane e sul retro c'è il banco dei salumi. Il bar è anche un alimentari, vende tutto e forse persino qualcosa di merceria. A farci caso lungo una parete c'è il caminetto. 

Si riformano i tavoli della briscola, intanto si continua a parlare di mulattiere e di quella volta o l'altra in cui quei tre si persero e venne l'elicottero.  

Uno di loro prova simpatia per il mio viaggio e vuole offrirmi da bere. Rifiuto dicendo che ho appena mangiato il gelato e un alcolico mi farebbe male. Me la cavo così, mi trovo in uno di quei posti in cui si potrebbe fare notte. Lui però racconta qualcosa, poggia un gomito sul bancone di fronte a me. Ha i capelli chiari all'indietro e una piega malinconica nelle espressioni. Una volta è stato in America ed è andato in moto alle cascate del Niagara. Riesco poco a seguirlo. Chiede il mio nome per tre volte, lo ripeto eppure continua a chiamarmi Daniele. Nessun problema, penso. Oggi, qui a Bisegna, posso pure chiamarmi Daniele. Che male c'è.

Mentre l'uomo parla domando al barista un panino al crudo. Quello esce dal bancone e va a prepararmelo. Il panino che porta è gigante, fatto con le fette del pane del forno tagliate grosse. 

Faccio per pagare. Un euro e cinquanta il panino, uno e novanta il gelato. Un gelatino chimico confezionato vale più di un panino che sfama due persone? Come siamo finiti così?

Pago, recupero il telefono quasi carico e mi avvicino all'uscita e dico:

"Allora buonasera a tutti".

Silenzio. Sento gli occhi addosso come non si aspettassero che me ne andassi. 

Poi sento che uno chiede. 

"Come si chiama sto' ragazzo?"

E quello che era stato in America:

"Daniele!"

E da lì:

"Fai piano Daniele!"

"Torna presto Daniele!"

"Se piove forte fermati, Daniele".

20.06.2014

Arrivo a Frattura Vecchia nel tardo pomeriggio. Il borgo fu distrutto dal terremoto di Avezzano del 1915. Venne ricostruito a qualche chilometro di distanza durante il periodo fascista. Faccio due passi tra i vicoli e mi accorgo che di fianco ai ruderi ci sono orti coltivati. Di certo qui l'acqua non manca, viene giù dritta dalla montagna e alimenta due belle fontane. Incontro Michele e Armando che mi guidano tra la vegetazione in espansione fino alla vecchia torre in alto. Armando racconta di abitanti, bravi agricoltori ma anche tosatori rinomati che arrivavano a lavoro in Tavoliere, a cinque giorni a piedi. Erano abili ad acchiappare topi che divoravano le radici delle piantine di grano causando danni importanti alle coltivazioni. 

"Quando ci fu il terremoto gli uomini erano lontani, chi in America, chi in Puglia". 

La storia viene fuori in una volta sola dalla voce di Armando.

20.06.2014

A fine giornata sono a cena da Michele a Frattura Nuova che d'inverno conta ventiquattro abitanti. Continuiamo a parlare del vecchio, di possibilità col turismo. Discutiamo di nuovo della predisposizione all'agricoltura che caratterizza i terreni di Frattura. 

"Siamo a mille e trecento metri eppure si coltivano pomodori, peperoni e persino il melone retinato. Qualcuno crede che sia la roccia della montagna a rilasciare calore da permettere colture tipicamente di valle."

La mamma di Michele, la signora Anna, qualche volta si alza da tavola per rifornire di legna la stufa. Le stufe sono accese, che quassù gli inverni non finiscono e per abitare una cucina può bastare una stufa calda.

21.06.2014

Risalgo la sterrata che mi porta verso la Montagna Spaccata e mi fermo a fare foto. Arriva Mario. Sul prato sopra di noi avanza piano la macchia bianca delle sue pecore. Prima di accomodarmi in bici voglio fare strada insieme. E' uno di quelli sempre pronti alla battuta. Parliamo da mezz'ora e ha fumato tre sigarette. Gli chiedo come fa a camminare così. Risponde che fuma da quando aveva dodici anni. Lo dice come una giustificazione. Racconta poi che lui e un amico andavano a rubare le sedie per ricavarne la paglia da fumarsi. Che prima le sedie erano di paglia. 

"E le cartine?"

"Usavamo le pagine del vocabolario. Dovevamo fare i pastori, l'italiano a che ci sarebbe servito."

Ridiamo. Poi mi dice che in montagna si devono conoscere tre cose:

"Distinguere una vipera da un serpente, un cane tranquillo da uno aggressivo, quello aggressivo non va mai guardato negli occhi e bisogna camminare tenendolo di fianco. La terza cosa è salutare. Ma quello già viene spontaneo che qui la gente non ce ne sta e quando s'incontra qualcuno è una gioia".

Si ferma a riprendere fiato. E di nuovo:

"Hai presente il detto salutare è un piacere e rispondere ... lo sai, no? Qui è diverso. Qui è: salutare è un piacere e rispondere pure".

Ci fermiamo e si avvicina uno dei suoi cani. È il momento di una foto.

Ci diciamo poco altro. Forse molte cose le pensiamo.

Va bene Mario, ti credo. Ora pedalo, svalico e torno dalle mie parti. Tu gira le tue montagne e calca il passo che più in basso di qua ogni saluto sembra poco più di niente.

21.06.2014

Prima di affrontare la salita, tra le ultime case di Frattura, incontro la signora Rosetta. Ha una cipolla in mano e dice che l'ha presa nell'orto.  Soltanto quando le racconto che viaggio sto facendo supera la diffidenza e mi invita in casa per un caffè. Così mi ritrovo in una cucina illuminata. Su uno scaffale ci sono foto dove lei compare sempre. In alto è appesa l'immagine di Padre Pio. 

Ha novantadue anni, dice che il segreto per tenersi in forma è mangiare poco. Compie movimenti leggeri ma ben diretti, come quelle donne che trascorrono molto tempo in cucina e ricordano a memoria i posti delle cose. I suoi passi invece sono lenti come gli anni che si porta, che tanto non c'è fretta. 

Ci sono persone che vivono ai margini del moderno, in paesi di una ventina di abitanti, in luoghi paralleli e frequentati appena ma comunque possibili. Rosetta non legge di Borsa, non sa cos'è il Nasdaq, eppure ha cresciuto due figli e prepara il caffè migliore del mondo. 

Mi hanno già raccontato che un orso visita il paese. La sera precedente al mio arrivo è entrato in un pollaio e si è nutrito bene. Le porte dei pollai di Frattura sono robuste, perché l'orso è di casa, allora lui ha scelto un'altra via: si è arrampicato sul tetto ed ha spostato le tegole. Si è aperto un varco ed è sceso a cena.

Chiedo a Rosetta se ha mai incontrato l'orso. E se ha paura. Dice che lo incontra davanti casa sua. 

"Ci guardiamo, ci riconosciamo, poi lui per la sua strada e io per la mia".

23.06.2014

La notte tra venerdì e sabato la trascorro a Juvanum, un sito di epoca romana vicino Montenerodomo. Mi sveglio presto per raggiungere Buonanotte, il borgo abbandonato a seguito di una frana che ne ha compromesso la stabilità complessiva. Non ci vuole parecchio, arrivo a Buonanotte intorno alle nove di mattina. Lascio la bici all'inizio della scalinata che sale al vecchio paese, appena prima dell'imbocco di una breve galleria. Oggi Buonanotte è il regno delle ortiche, delle acacie, dei papaveri rossi e delle edere che risalgono i muri. Non si può andare lontano, la vegetazione è presente con forza nei vicoli e non c'è più spazio per passare. Spingendo gli usci si trovano pavimenti sfondati e la gravità dell'abbandono che contraddice ogni possibilità di ritorno. 

Pochi chilometri mi separano dal paese vecchio di Gessopalena, minato durante l'ultimo conflitto mondiale dall'esercito tedesco in ritirata. Oggi è un luogo spalancato al cielo e immerso nell'aria. Mette voglia di respirare forte e tirare il fiato sulle vergogne di una guerra nemmeno troppo lontana.

23.06.2014

L'itinerario si conclude a Gessopalena Vecchia ed eccomi in posa con la Majella. Quando eravamo bambini ci raccontavano che le nuvole erano i pensieri della montagna. Nell'istante della foto ne ha pochi e abbastanza definiti.

È una giornata calda, si sente di più quando ricomincio a pedalare. Almeno arriva la discesa. Vado giù rilassato e non me ne accorgo: la camera d'aria della ruota anteriore si fora e si sgonfia subito. Capita alla fine. Sotto il peso delle borse il copertone esce dal cerchio che slitta sull'asfalto. Lascio andare la bici che sfrega per terra con un fracasso di gomme e ferri e finisce tra i rovi sul bordo. Io riesco a stare in piedi. La recupero e mi accorgo che il copertone è tagliato. Porto sempre una pezza per le emergenze ma di fatto il taglio è lungo e la pezza non basta a coprirlo. Così avvolgo un cordino in modo che tenga la gomma compatta, chiuda il taglio e limiti l'espansione della camera d'aria appena sostituita. Un metodo alla buona ma necessario. Gonfio il minimo e riparto. Funziona per una ventina di chilometri e pure oltre. 

Ora è il momento di svuotare le borse, escono a caso una cartina gualcita, una camera d'aria da buttare, una maglia piena di polvere. Altre storie appuntate sul blocco. Il totale o la sintesi di quanto è successo.