Tre ponti di pietra

I ponti di pietra, i ponti vecchi. Sgretolati dall'umido, muti sotto i muschi, le edere. Geografie di valli profonde da scavalcare, ponti persi nei boschi della Valle d'Aosta, del Piemonte, della Liguria. Trovarli, fotografarli, chiedere storie, chiedere di quelli.

Così, un'eremia di ponti, assistere all'idea degli uomini di creare un passaggio sull'acqua, sull'aria. Il ponte è terra inventata, appoggio per i piedi. Valichi di pietre. Di nuovo le pietre, questa volta sostengono i passi sul vuoto.

Su un ponte i passi stanno alti sull'aria, lontani dal fondo di una valle, dalle capriole d'acqua di un fiume freddo e montano.

 

I ponti consentono il passaggio, di seguire un'intenzione qualunque, un capriccio di viaggio o un mestiere che porta via. Poi pensare al ritorno, tornare. Contare su un valico sicuro, su un arco di pietre sempre là. Ritrovare la casa, il paese, il luogo di prima. Sapere che c'è sempre, sapere che sono vere le cose, che è vero il torrente, o la poesia delle foglie cadute. Tornare per una sera di ottobre, per il vino. Per la parola di un vecchio in piazza che ha la stessa pazienza delle pietre e guarda l'acqua che passa. Sentire che dice che il tempo è poco, che appena si pensa a una vita ne servirebbero due. Andare, attraversare la valle, ancora una volta, amare i bordi, dove il passo può fallire. Pensare al ritorno. Credere di non essere andati mai.

 

Le storie sui ponti che seguono sono parola di sconosciuti, di uomini casuali ma importanti. Un drago, un diavolo, Caino condannato da Cristo a camminare per sempre.

Ponte della Moretta - Perloz
Ponte della Moretta - Perloz

Il Ponte della Moretta è un arco di pietra sulla fessura profonda del torrente Lys. A guardare com'è ancorato sembra che solo in quella zona potesse tenersi. Il patto di sostegno tra pietre e montagna succede in due punti e resta saldo da secoli. Come sempre la montagna offre appoggi giusti per farsi abitare.

A Perlod incontro un uomo intento a far ripartire un vecchio motore. Mi guarda controluce, stringe gli occhi, è sudato sulla fronte. Le maniche sollevate, le braccia nere di olio. Fa un momento di pausa e da retta a me che arrivo in bici. La bici con le borse fa simpatia. Non è difficile parlare. 

"Dovresti parlare con un anziano, qualcosa uscirebbe. Io so che nascosto sotto il ponte della Moretta abitava un drago che tormentava gli abitanti del vicino borgo di Perlod. Un pericolo importante per chi voleva attraversare. Così un giovane di nome Vignal lo cercò e gli offrì una pagnotta dentro la quale aveva nascosto la sua spada. Il drago la inghiottì e si lacerò la gola. Il paese fu libero".

"Poi?"

"Il ponte sta lì da quando lo ricordi, per me non esiste Lys senza ponte".

"I draghi? Esistono?"

Ride.

"No, non credo, non ne ho mai visti. Però so come sono fatti, già nella mia testa ne immagino uno. Immagino la pelle a squame, i denti affilati, mi aspetto che possa sputare fuoco. So che ha una lunga coda, quattro zampe robuste e gli artigli. Lo posso immaginare, quindi in qualche maniera esiste".

"Se ne incontro uno che faccio? Non ho la spada".

"Prenderei la borraccia e gli spruzzerei dell'acqua in faccia!"

 

Pont-Saint-Martin
Pont-Saint-Martin

A Pont-Saint-Martin tutti sanno del diavolo e di San Martino. In piazza, proprio sotto il ponte, un uomo passeggia con la sigaretta in bocca. Ha tempo libero, si vede. Mi guarda a lungo e forse vuole parlare. Si toglie la sigaretta, soffia il fumo. 

"San Martino doveva tornare in Italia e attraversare il Lys in piena. Il diavolo gli propose la costruzione del ponte in una sola notte ma in cambio della prima anima di passaggio. Il santo accettò, ma ingannò il diavolo e fece attraversare il ponte da un cane. Il diavolo si accorse dell'imbroglio, divenne furibondo e si lanciò nel torrente in fiamme. Così nel periodo della quaresima si appende al ponte il manichino del diavolo che il giorno di Carnevale si accende e si guarda bruciare. Ecco la storia."

"Esistono i diavoli?"

"Certo! O a che servirebbero le preghiere, i santi e tutto?"

"Per combattere i diavoli?"

"Sì"

"Quindi senza diavoli non servono i santi?"

"Fa come vuoi".

"Ma in questo caso il santo ha usato un inganno, ha tradito un accordo preso in partenza. Mica tanto bello".

"Sì ma il diavolo è il diavolo. E poi un santo lo può fare".

"Ah".

Una leggenda simile a quella di altri ponti presenti in Italia. Resta che l'uomo ha spesso trovato il maligno nei ponti.

Faccio tre pensieri leggeri, pedalo e penso. Sono stanco e penso. 

Un'opera così affascinante può sembrare non umana, non capisco perchè diabolica invece che divina. 

Una opera che tende al cielo deve contenere un senso di colpa, un peso che lo riavvicini alle umane cose. Un'opera di meraviglia va bilanciata con un peggio. Allora dove c'è il diavolo c'è bellezza, penso. 

Un ponte si attraversa, non ci si ferma su un ponte. Il centro di un ponte non può essere casa. Così si avverte l'inquietudine relativa alla sospensione, all'altezza sulla valle scura e profonda. Su un ponte s'incontrano le paure, i demoni che nessuno incontrerebbe in una condizione di comodità, sulla terra ferma, in una piazza abitata, in un cortile qualunque. 

Sono belle le domande, meno le risposte che concludono i pensieri.  

 

Ponte di Zuccarello
Ponte di Zuccarello

A Cisano sul Neva incontro il signor Aldo, mi dicono che potrebbe sapere qualcosa sul ponte di Zuccarello. Lo aspetto all'uscita della messa delle sei. Anziano, parla piano, porta un bastone per compagnia ai passi. Mi dice che ne sa, sì. Ma non ricorda se si tratta del ponte di Zuccarello o di uno più in basso, sempre sul fiume Neva.

"Cristo punì Caino per aver ammazzato il fratello e lo obbligò a camminare per sempre. Si trovò così a passare sul ponte, una volta, da giovane. Lo ammirò a lungo per l'architettura delle pietre e per la limpidezza dell'acqua sotto. Ma non potè fermarsi, doveva camminare. Così dopo tanti passi, tanti giri, anni dopo, si ritrovò sullo stesso ponte. Di nuovo ammirò le pietre ferme come le ricordava. Non erano cambiate. Ma l'acqua sotto aveva levigato il fondale, il letto del fiume si era abbassato, era in evoluzione. Nessun uomo aveva fatto questo ma l'aigua zeza. Acqua gelata. L'hai vista l'acqua gelata del Neva?"

"Non posso dire che fosse gelata ma sì, l'ho vista."

"Sì, è gelata".

Ringrazio Aldo per la storia. Non dice prego, non dice benvenuto. Dice:

"Quello che non si racconta resta negli occhi. Non serve più, non serve a nessuno".

Al Gran Paradiso, gli Alpini, la neve

Di altri ponti incontrati ho saputo poco. Oltre questo il giro ha deciso per me, mi ha portato incontri, facce, esperienze. Quello che avevo pianificato si è perso. 

Mentre cercavo i ponti sono salito oltre Cogne a dire ciao al Gran Paradiso.

Gruppo del Gran Paradiso
Gruppo del Gran Paradiso

Mentre riscendo incontro Agostino, vive a Cogne, mi invita in casa che all'aperto comincia ad essere freddo. Ceniamo insieme, beviamo qualche birra. Uno dei momenti più belli del viaggio, un uomo molteplice, la chiacchiera facile e mille storie per la testa. Ha settantaquattro anni, da giovane ha fatto più mestieri, anche il maniscalco.

"Per imparare a ferrare i muli si prende un tronchetto di dieci centimetri di diametro. I chiodi si piantano a un centimetro dall'esterno e si fanno uscire tre centimetri sopra".

Cerca di darmi idea della precisione dei maniscalchi. Mi spiega con esattezza, come se potessi capirlo davvero.

"Si deve ferrare in musica, così si dice. I chiodi vanno messi sulla stessa altezza, come su un pentagramma. La parte difficile è pareggiare l'unghia. Il cavallo non ha pazienza, per quello si impara su un tronco. Il maniscalco chiede di muovere la bestia prima del lavoro. Se è stata in stalla non si tiene".

Parla svelto e con le idee limpide di chi sa il mestiere.

"Dopo aver pareggiato l'unghia penso al ferro. Lo metto nella forgia. Aspetto che raggiunga gli ottocento gradi, quando è facile da lavorare. Diventa rosso ciliegia. Fonde invece a millecinquecentotrentotto, facile da ricordare, è la quota di Cogne".

Da giovane era negli Alpini col grado di tenente. Ottavo reggimento, Brigata Julia. 

"Lì ho cominciato a badare ai muli. Si diceva che un mulo valeva cinque soldati. Li dovevamo gestire. In un sentiero col precipizio il mulo si conduce verso lo strapiombo perchè il mulo perde l'equilibrio dietro, per cui va spinto nel lato opposto. In stalla li nutrivamo. Prima si dava l'abbeverata, poi il fieno, poi la profenda".

Ricorda e ancora ammira il suo capitano di cinquant'anni prima.

"Il mio capitano mi ha insegnato ad essere un uomo. Quando si risponde a un comando il superiore si guarda al centro della fronte, non altrove. Si sta faccia a faccia, un palmo tra i nasi. Cantavamo sul Tagliamento, con Capitan Giampaoli.

Siamo gli alpini della terza Julia che i confini difendiam

la piccozza nella mano, fermo il cuor, ferrato il piè,

noi sulle cime ritti ci portiam, nè ci manca in cuor la fè,

Quando il sentiero si fa più duro non ci fermiam, non ci arrendiam,

quando il ciel si fa più scuro allora noi cantiam

Freddo il ghiacciaio che da solo tante vittime ghermì

aspro il nevaio la nostra penna sarà quella che sui monti vincerà

e una voce echeggerà:

Viva i veci, viva i bocia* dell'eroico ottavo alpin".

La voce carica, ancora la grinta di cinquant'anni prima. 

In certi luoghi d'Italia vogliono bene agli Alpini. Penso ad amici dell'Altopiano di Asiago che ricordano e sanno che i loro nonni Alpini nella Grande Guerra combattevano a pochi chilometri dalle loro case, difendevano le famiglie. 

Un amico di Foza sempre mi dice che gli austriaci a monte, sui ripidi crinali, uccidevano gli Alpini a sassate. Suo nonno fu unico sopravvissuto di quattro fratelli. Monti riconquistati a forza di morti. Loro sanno più di me, dal centro Italia, dove la Grande Guerra era lontana ma prendeva ragazzi a morire. La guerra da me non erano spari, non l'artiglieria che faceva tremare la terra, non gli sfollati, non i carri pieni di morti di ritorno dalle trincee. Da me era una specie di partenza dal ritorno incerto. E poi sono passati cento anni. Prova ad andare in un bar a Foza, sotto il monte Fior, e alzare un bicchiere e dire:

"Agli Alpini!"

Tutti si zittiscono, tutti brindano e bevono. Bevono e basta. E stanno zitti. Passano secondi prima di ricominciare i discorsi. 

Agostino è davanti a me, con i gomiti piantati sul tavolo.

"Quando ero nell'esercito me li ricordo i veterani, quelli che erano tornati dalla Russia. Li facevamo sedere tra noi, chi era sfigurato, a qualcuno mancavano le dita di una mano. Piangevano".

Sospira, guarda fuori dalla finestra, è già notte. 

"In valle tra poco nevicherà e resterà fino a marzo".

Finalmente nomina la neve.

"Qui la neve fa inverno e la toglie il sole di marzo". 

 

* giovane in piemontese

Agostino
Agostino

"L'esercito è un mondo. Addestramento, marce su e giù per le montagne, la vita di caserma, l'orgoglio dei superiori. Alla fine era come se volevamo una guerra, posso ammettere di averla desiderata per vedere in opera tanta preparazione. Ci sentivamo forti, potevamo fare.

E tu Austria se sei la più forte

fatti avanti se hai del coraggio

e se la buffa ti lascerà il passaggio

noi altri Alpini fermarti saprem."

Ci pensa, mi guarda. Siamo seduti al tavolo. 

"Ragazzo mio una cosa la devi sapere, i bersaglieri e gli altri sono buffa. Gli Alpini sono gli Alpini.

Bersagliere ha 100 penne 

ma l'Alpino ne ha una sola,

un po' più lunga

un po' più mora,

sol l'Alpin la può portar!

In certi giorni bui, quando sento sconforto, quando la vita non è riconoscente, vengo qui in cucina, guardo il cappello, guardo la piuma e dico: ma Cristo Santo! Sono pur sempre stato un tenente degli Alpini!"