Fonte: sito web www.leviedeitratturi.com
Fonte: sito web www.leviedeitratturi.com

Ogni settembre i pastori scendevano dalle quote d'Abruzzo, spostavano le greggi in Tavoliere delle Puglie. Per secoli la transumanza è avvenuta su una rete di itinerari: tratturi, tratturelli e bracci. Il tratturo regio da Pescasseroli a Candela era la via più interna, una via appenninica che attraversava l'entroterra molisano, l'Irpinia e portava a sud. Misurava 221 km su un'area larga 111,11 metri, ristretta a 55,55 metri nei primi anni del 1800. Sulla mappa è una linea in rosso, la numero sette. 

Il tratturo, itinerario di prima, sappiamo che c'era. Più che i dati, una via vale fino a quando qualcuno la percorre, oppure scompare, le piante la coprono e la scordano. O la copre una striscia d'asfalto, o un fabbricato arrogante.

L'itinerario non è nitido e va cercato, qualche volta inventato. S'incontra qualche cippo in pietra ma avanziamo d'intuito, a volte per tentativi. Qui è il bello, si può inventare. O giocare a cercare un'orma nella terra, crederla di duecento anni prima. Si può annusare il vento per provare a capire se il mare è lontano. Guardare avanti una volta ancora per decifrare la distanza che manca. Immaginare quello che è successo, anni e stagioni di spostamenti e ritorni.

Con me c'è Giuseppe. È bastato dirgli che pensavo a uno dei tratturi, quello più interno. In una settimana ci siamo organizzati e via. I giri migliori si pensano poco, il tempo di mettere le cianfrusaglie nelle borse.

L'attacco è Pescasseroli, con l'idea di superare i primi chilometri tra i boschi. Incontriamo un uomo che dice che il tratturo inizia a Barrea, e che siamo partiti troppo indietro. E siamo partiti fuori stagione, a maggio i pastori tornavano, mentre si mettevano in marcia per le Puglie il 29 settembre, giorno di San Michele, tempo della fioritura del colchico.

Boschi di faggi, sentieri di foglie secche, cime innevate sono cornice di un panorama molto vicino. Pedaliamo di fianco al lago di Barrea, poi svalichiamo verso Alfedena.

Da qualche chilometro dopo Alfedena, fino a Bojano, il tratturo è stato occupato dalla SS 17. Così programmiamo di svoltare sul tratturo Castel di Sangro – Lucera fino alla Taverna del Cortile, poi su un braccio in direzione di Bojano per continuare ed evitare l'asfalto.

Perdiamo la traccia, la cerchiamo, la confondiamo. Dopo chilometri non ci sentiamo sulla via giusta.

Un uomo in un campo dice che il tratturo comincia a Montalto, dove in effetti coincide con la via principale che passa tra le case. Insomma inizia sempre più avanti. 

Ci fermiamo al bar, entriamo, ci sono sedie e banchi di formica, mazzi di carte napoletane. La barista al bancone ha occhi neri e veloci, è attenta a noi forestieri e porta una birra fredda. Il luogo è una perfetta oasi tratturale, un bar come si deve. Parliamo di dove siamo ed esce fuori che sua madre fa il formaggio di capra. Ne cercavamo giusto una caciotta da portare. Va a prenderla, torna con un fagotto, apre, arriva il profumo che immaginavo. Ci siamo, decido che il tratturo è cominciato nel bar di Montalto, i chilometri prima sono stati di preparazione, puro avvicinamento.

La barista mette a fuoco la caciotta, allunga le dita e tira via due capelli bianchi. Dice che potremmo trovarne altri, la madre è anziana e non si accorge di perderli. Il formaggio sarà ottimo, lo mangeremo di sera, forse per il buio o forse per la fame non troveremo nessun capello.

Davanti al bar riceviamo l'indicazione di un ragazzo:

"A sinistra, poi due volte a destra."

Ripartiamo e seguiamo alla lettera. Alla seconda svolta si comincia a scendere veloce, diventiamo diffidenti. Giuseppe per poco non cade su una vipera, la schiva all'ultimo per non schiacciarla e rischia di sbilanciarsi. La vipera scompare nel cespuglio e non la vediamo più.

La mulattiera si sporca, diventa la traccia dei fuoristrada dei boscaioli e scende rapida, sterrata, con pozzanghere profonde e melmose. Ci consultiamo, se la strada finisse, con il peso delle bici e una pendenza tanto esasperata, tornare su sarebbe dura. Tiro fuori la bussola, dico che la direzione è giusta: sud. Ci conforta.

Finiamo in uno spiazzo tra gli alberi, cerchiamo ovunque, non ci sono sbocchi. Quello che temevamo si avvera. Torniamo a monte senza dire niente.

Incontri tratturali
Incontri tratturali

Dovremmo avere il pensiero di una casa da lasciare per dovere, l'urgenza di arrivare senza perdere capi. Provare premura per il gregge, affezione per i cani migliori. A ogni alzata di sguardo misurare l'orizzonte che porta via. Dovremmo avere questo dei pastori, la paura e l'incertezza di un mestiere all'aria. Non basta una vecchia traccia ad unirci, non basta nessuna fatica. Nè il proposito di sudare in una domenica di sole pieno.

Penso a questa distanza, al tempo in mezzo. Forse tre vite fa eravamo loro e oggi siamo qui ad andare sugli stessi passi. E le ruote della bici vanno dove sono successe molte impronte, ci sediamo sulle stesse pietre, sotto lo stesso cielo.

Oppure siamo qui per non credere all'abbandono di una via vecchia. Per sperare che c'è ancora chi ragiona di stagioni e di passi, chi pensa all'inverno, chi aspetta la neve per andare lontano, chi vive delle proprie mani e chi crede che ogni via sia un'intenzione più che una traccia.

Altilia
Altilia

A Bojano riprendono i segnali, torniamo sul tratturo Pescasseroli - Candela. La traccia è evidente, andiamo bene fino a Sepino, facciamo un giro tra le pietre di Altilia, la città romana. C'è tempo di due foto sotto gli archi.

Vie di pietre, cortili di pietre, l'anfiteatro di pietre. Una città fatta per restare e arrivare a noi. Mi chiedo con che occhi la vedevano i pastori, conoscevano di sicuro a memoria gli spigoli delle vie, o l'ombra che di mezzogiorno si stendeva sotto l'arco di porta Bojano.  

La città sta nel suo stesso passato, a un periodo di abitanti. Non importa a chi appartengono le pietre ora. Noi le guardiamo, pensiamo che siamo quelli dopo, non possiamo cambiare le pietre, possiamo ammirarle o starci accanto, lasciarle al tempo, averle indietro e non pensarle più. Tanto di pietre ce ne sono, questa è una terra di pietre: nell'erba, sepolte, organizzate in muri a secco, in cippi lapidei di confine tra proprietà e tratturo.

Dopo Altilia seguiamo attenti la via di breccia. Sembra facile, evidente, eppure superiamo il torrente Tappone e ci perdiamo. Torniamo indietro, la traccia scompare nella boscaglia. Ci siamo, è successo di nuovo. Di sera a Sassinoro ci diranno che un'alluvione ha accumulato detriti, guastato strade. Anche il tratturo. 

Lo cerchiamo, lo inseguiamo, ci manda a spasso, ci abbindola, ci distrae con un fiume, ci passa accanto sotto i rovi, svolta dove non possiamo trovarlo. Diventa via immaginaria, un'intenzione di Sud da meritare abbastanza. E andiamo, e non ci fermiamo, e dovrebbero essere così tutte le vie, bisognerebbe amarle per lasciare che si concedano piano, in modo che dimenticarle sia difficile. 

Ed eccola di nuovo, bianca, una linea di breccia. Non ci resta che puntare Colle San Martino e quando ci arriviamo ci rendiamo conto che ci sono muretti a secco che ci indirizzano e ci accompagnano. Il paesaggio cambia, il verde dei prati e i boschi restano alle spalle, entriamo nel Sannio. Rocce calcaree, argille, colline tonde, campi di grano e papaveri. 

Seguiamo la mappa fino a Reino. Poi costeggiamo per un poco il fiume Tammaro e saliamo verso Casalbore.  

Cippo tratturale sul quale sembra scolpita la croce Aragonese
Cippo tratturale sul quale sembra scolpita la croce Aragonese
Cippo - Tratturo Regio 1880
Cippo - Tratturo Regio 1880

A volte non serve parlare per decidere direzioni. Poi all'improvviso finiamo di nuovo persi in un campo di grano verde, cerchiamo alternative, quello che doveva essere un itinerario scoperto, facile, si complica. Vengono fuori i caratteri. Giuseppe è stufo, ha ragione nel dire che facciamo il doppio dei chilometri, che pedaliamo a zonzo. Vorrebbe spostarsi sulla statale, farla finita, che tanto il tratturo è morto e le nostre sono continue deviazioni. Io invece voglio vedere dove ci porta, come ci fa sbagliare ancora, come ci fa perdere in fondo a un bosco o in una via di ginestre. Se supera un fiume o se ci finisce davanti. E ho voglia di insistere, di trovare la traccia vera.

Discutiamo, Giuseppe dice che sono cocciuto, poi contrariato accetta di seguire quella che sembra la via.

Guardo il grano, la distesa che ondeggia al vento e penso ancora che il tratturo è una voglia di Sud, una traccia viva per chi lo vuole credere, per chi si concede una direzione. E' un pensiero di passato, sembra di partecipare al tempo solo per l'intenzione di seguitare.  

Poi tutto cambia. Oltre Camporeale il tratturo è segnalato da cartelli, è nitido e riconoscibile. Ogni tanto s'incontrano segnali inconfondibili come pecore di metallo alte un metro o moderni cippi in cemento.

Il tratturo di oggi, penso, finisce prima dei segnali. Si tratta di una via che si complica, si perde e sfianca. Una via che si affronta più di volontà che di gambe. Una via che lascia in mente pochi punti di riferimento, che sono spazi di paesaggio, o incontri. La traccia si può dimenticare metro per metro, tanto può non essere giusta. Una via così fa stare continuamente di fronte alla possibilità di ritrovarsi alla partenza dopo ore di pedali. Meglio non si può.