Fonte: sito web del Parco delle Foreste Casentinesi
Fonte: sito web del Parco delle Foreste Casentinesi

Dentro le valli ci sono macchie di acacie in fiore a grappoli bianchi. Più in alto castagni, faggi, fino agli aghiformi delle quote maggiori. Il bosco cambia ed è intricato, quasi non ti aspetti che una mulattiera possa indovinare una traiettoria giusto lì in mezzo. Risalendo si incontrano nuclei di case, borghi inattesi. E facce anziane sulle panchine, camminano e guardano in basso, sanno a memoria le pietre delle vie. Dove finiscono i piedi comincia il mondo grande, e forse non vogliono saperlo. Stanno nelle piazze di sempre a raccontarsi il passato. Le cose nuove sono il pretesto per tornare a prima e il gioco quotidiano è di legare una novità a una storia. Vecchie montagne vecchi uomini ad abitare i giorni, hanno storie che li rassomigliano.

 

Abbandono anche qui, lo riconosco, me lo aspetto ma lo guarderò dal lato perchè questo è il giro dell'acqua, luoghi d'acqua saranno i riferimenti dell'itinerario in Casentino. L'acqua dei torrenti chiassosi che precipitano dalle montagne, saltano dalle rocce in schiuma e a forza di sbattere contro un masso finiscono per levigarlo. Cascate bianche grattano i crinali e ne ricavano una via, un pendio di muschio su una frana di pietre. Una forza continua, paziente, che non si placa con le stagioni e si riaccende ogni primavera nuova. 

Ci penso mentre sudo in bici nell'aria fresca di un pomeriggio umido, scuro di nuvole. In un orto c'è un uomo, mi vede arrivare e si avvicina al recinto. Vuole parlare e mi fermo. Mi fa entrare, seguo la sua testa grigia. Mi chiede da dove vengo, se ho da mangiare, da dormire. Penso che vuole parlare perchè ha tempo da perdere, parla con me ma potrebbe attaccare discorso con chiunque. Sta per piovere e non ha voglia di iniziare lavori nell'orto. 

“Ho seminato peperoni, patate. Spero solo che questa pioggia ci lasci in pace o va tutto in mona.”

Così ecco un veneto in Toscana. Chiedo di quello e dice che ha deciso di venire a vivere per sempre, comprato una casa, una terra, quanto basta per partire.

“Perchè siamo tutti nomadi no?”

Sono d'accordo.

“Io mi sono spostato una volta, tu vai in bici. Ciascuno incontra i propri fantasmi come può”.

Si riferisce a un suo passato che non vuole raccontare. Non l'avrei detta così ma credo di aver capito.

Lui ride con malizia e io penso che mi piacciono gli itinerari a incontri, la possibilità di scambiare parole, piccole intese. Adoro i non detti, la parte del discorso che manca e una smorfia la sostituisce. E anche gli accenni del dialetto, provo a capirli, rimastico le parole nuove durante le salite, imito gli accenti. 

L'uomo mi indica una via nel bosco che ripercorre parte dell'antica via Romea. Decido di ascoltarlo e ci salutiamo. Infilo una bella salita dove non c'è nessuno e presto entro in una nebbia densa come ovatta. Piove, le ruote scivolano sulle rocce. Mi perdo a qualche svolta, tiro fuori la mappa che comincia ad assorbire l'umido e diventa una cartina inconsistente che cede tra le dita.

Penso di fermarmi, scaricare, montare il campo e stare qui per la notte. Lo penso lo faccio. In poco sono nel sacco a pelo a sentire la pioggia sul telo della tenda. Piove senza fulmini, una pioggia lenta e sottile che nasce dalla nebbia, che si potrebbe respirare anche. Una pioggia pesante che insiste. Preparo un caffè al fornellino, sorseggio piano. Sono questi piaceri momentanei a farmi gustare il dormire fuori. L'odore umido del bosco si confonde nel profumo di caffè, poi con quello della gomma delle borse. Qualche volta, a casa, mi sono sorpreso ad entrare nella stanza della bici ad annusare le borse, è per me l'odore del viaggio, tanto per sentirmi in ogni momento in un lontano qualunque.

Rifugio Ca' di Sopra, lago di Ridracoli. I gestori sono Daniela e Lorenzo, sorella e fratello. Stavano per scendere a valle a fare scorta di alimenti, come ogni inizio di settimana. Chiedo allora se almeno posso accamparmi sul crinale che arriva fino al limite del lago.

Daniela ride sincera, prende il tabacco per rullarsi una sigaretta.

“Dai che restiamo anche noi, scendiamo domani. Più tardi beviamo un vino insieme e se vuoi puoi dormire al piano di sopra in camerata."

Intanto esco a sistemare la bici. La luce del tardo pomeriggio arriva a metà delle colline che scendono nel lago. L'acqua è ferma e si perde chissà dove in mezzo ai pendii verdi. I laghi sono silenziosi, hanno acque mansuete che stanno bene sotto i tramonti. O si può far finta che non esistono, e lo spazio d'acqua è solo una spianata dove non va nessuno.

I laghi hanno acque pazienti, che aspettano a valle la fretta dei torrenti, che hanno memoria e ogni primavera tornano allo stesso livello sulla riva, ad avvolgere gli stessi sassi. E quando viene luglio si accorciano, scoprono il fondale, dimostrano che non nascondono niente più che la terra.

Lorenzo porta la legna in braccio, chiedo se è lui stesso a procurarla.

“Il parco ci ha assegnato una parte di bosco da pulire. Questo è carpino, fa un buon fuoco. Abbiamo la carriola a cingolo, la uso per i tronchi e per i rifornimenti da valle.”

“Dovresti procurarti un mulo.”

“Ci ho pensato, non ho tempo per accudirlo. E poi il fieno?”

Parliamo del lago, dice che raggiunge sessanta metri di profondità lì davanti. È una riserva di acqua potabile e nella stagione buona la riva si ritira anche di trenta metri.

Resta con me nonostante il carico di legna, tiene alla cortesia. Non incalzo la conversazione così lo lascio andare. Prima di rientrare raccomanda di ripararmi che di sera si fa sentire la tramontana.

È indaffarato, lo vedo uscire e tornare, recuperare attrezzi, spostare sedie. Penso a una divisione di compiti, Daniela si occupa dell'interno, della cucina. Gioco di squadra.

È un rifugio appenninico, di quelli in pietra con le panche invecchiate e consumate dalle braccia e mani che sono passate sopra. Di sera c'è vino rosso e fuoco acceso, sono l'unico ospite e abbiamo tempo per conversare.

Chiedo come sono finiti a lavorare lassù.

Daniela sta vicino alla porta d'ingresso semiaperta, ha la sigaretta accesa, soffia il fumo fuori.

"Ti sembra una fuga?"

"No una passione."

"Non c'è solo la bellezza, stare qui stanca pure. Conoscevo l'uomo che aveva in gestione il rifugio anni fa, era anziano e c'era da caricare le provviste in spalla da valle. Lui portava persino le bombole di gas per offrire doccia calda agli ospiti. Mi chiese di sostituirlo. Accettai, mi piaceva l'idea. All'inizio venni sola, poi mi seguì Lorenzo."

Su uno scaffale di fianco al camino ci sono libri, mappe. Tempo buono per ragionare di itinerari. Si può parlare di sentieri quando non si ha fretta.

Rifugio Cà di Sopra
Rifugio Cà di Sopra
Lago di Ridracoli
Lago di Ridracoli

Di mattina parto presto, sarà una giornata lunga sui pedali. La prima luce del sole sta sulle colline più alte. Saluto Daniela e Lorenzo che scenderanno a valle dopo di me per i rifornimenti.

Daniela dice:

"La prossima volta che vieni ti racconto una storia, promesso."

"Ti ho chiesto già ieri di raccontarmi una storia."

"Non l'ho fatto, è vero, così torni."

Molin di Bucchio
Molin di Bucchio

Al Molin di Bucchio. Una valle, un mulino vecchio. Il regno dei boschi, una via d'acqua che si chiama già Arno e qui è poco più di un torrente. La sapienza umana sceglie il luogo giusto per creare il canale adduttore, ammaestra la corrente. Un'opera così fa pensare che per l'uomo non può esistere realizzazione migliore che assecondare l'ambiente. Ma è più una collaborazione che una forzatura. Si fa fare all'acqua un giro lungo, passare sotto il maragòne, spingere le pale del ritrecine, poi la si rilascia al fiume.

Dietro il mulino sorge l'acquacoltura, è stata costruita a fine ottocento, rimase in attività per decenni. Poi abbandono. Altro luogo dell'entroterra andato a perdersi, economia montana di ieri, ci riguarda, o no. In Toscana, come in Abruzzo, questo è Appennino.

Scambio due parole con Andrea Gambasini e Mattia Speranza della cooperativa In Quiete. Le braccia a lavoro sono poche e il da fare non manca. Hanno ripulito le vasche a colpi di badile, con la ruspa non si poteva entrare dentro.

Andrea dice che qui venivano allevati barbi e trote, pesci che hanno bisogno di acqua ricca di ossigeno.

“L'idea di rimettere le mani su queste pietre ci venne dieci anni fa, volevamo fare un allevamento di gamberi. Poi capitammo qui e l'idea mutò nel recupero di questo spazio. Di idee ce ne sono, di soldi meno e per questo si va lentamente ma almeno si va.”

Facciamo due passi. Dietro l'acquacoltura hanno creato un vivaio di piante autoctone. Penso al turismo, anche, non ne parliamo, qui avrebbe senso. Penso però che i luoghi non possono solo essere una lista di pietre da frequentare per passatempo. C'è da arrivare senza sentirsi stranieri, perdersi, dimenticare da dove si era partiti. 

Vasche dell'antica acquacoltura del Molin di Bucchio
Vasche dell'antica acquacoltura del Molin di Bucchio
Mattia Speranza e Andrea Gambasini - cooperativa In Quiete
Mattia Speranza e Andrea Gambasini - cooperativa In Quiete

Luoghi d'acqua, mulattiere in salita, valli ombrose. Montagne disabitate, alberi stretti, tessuti insieme. Andare si può. 

Prima di partire ero curioso dell'Appennino che avrei trovato, quali novità avrebbe concesso un'altra area di quella fila di montagne che lega la Liguria alla Calabria. Avevo in mente di svolgere un itinerario di acqua, avrei seguito una geografia di cascate e ruscelli anonimi che fanno rumore nella macchia dei faggi e dei castagni.

Laghi, mulini, l'acqua che non manca. Vie d'acqua come vene, sorgenti che nascono in quota e dopo pochi sassi sono già a precipitare. Bere per terra, risalire un torrente sconosciuto. Non si può dire perchè.